CRITICISMS

ETNA 
di Sylvano Bussotti

Vedo le tue opere spuntare proprio come torri di S. Gimignano, caro Angelo. E penso che
se tace l'Etna, tu in compenso sei un'eruzione di musica vivente. E di poemi...
Spero un bel giorno di potere ascoltare, anche.

Affettuosamente, Sylvano Bussotti
Genazzano, marzo '94


SOSPETTI DI SUONO 

di Emanuela Ersilia Abbadessa

Ricordi i suoi “sospetti di suono”. Lo ricordo piegato su una tastiera ricoperta di fiori a far impalpabilmente entrare dentro i pentagrammi d’una Novelletta bussottiana, un casuale scrosciare di acqua.

“A incuriosire – acuire – lo sguardo di chi esegue”.

Non bastava averlo letto sui libri che, pure, certi prodigi non hanno età. Non bastavano le pagine che, timido, Angelo giovanissimo, mi sciorinava davanti con un pudore allegro ma nello stesso tempo con quella forza che gli veniva da una già matura capacità di tradurre in segni un percorso artistico. E quel percorso artistico, era evidente, rivelava di lui più dei suoi rossori e, in barba alla giovane età, lo poneva direttamente nel novero dei grandi nomi del suo tempo. Non bastava tutto questo a limitare il mio stupore e, a tratti, la commozione.
Era difficile cercare di catalogare quel geniale artigianato che, senza compiacersene, si alimentava di una rigida pratica “nota contro nota” ma si profondeva al contempo nelle argute volute di tratti di china che, filiformi, dispiegavano suoni silenziosi sui pentagrammi.
Ché prima fu il tratto probabilmente. Bussottianamente forse. Personalissimo quel tratto disegnava impalcature di alberi dalle radici di un rigoroso crescere della verticalità. E l’esigenza stessa del tratto (tratto che codifica) ha portato nel tempo Sturiale a studiare modi per interpretare e trascrivere gesti. E il gesto, sia esso musicale o corporeo, per Sturiale resta un’immanenza da provare a rapire e fermare su carta. Mai istantanea codificazione di gestualità altrimenti sfuggenti quel tratto nasce piuttosto dalla capacità di Sturiale di assorbire il suono e la sua immanenza ambientale per assorbirlo e rimetterlo al pubblico decontestualizzato e ricontestualizzato come suono specifico della partitura offerta all’ascolto; e l’imponderabilità di suoni esterni casuali diventa in questo modo ulteriore stimolo a ricreare materiale sonoro quasi fosse un artigiano “costretto” a creare con ciò che si trova davanti.
Dal profondo rispetto per il suono e per il gesto sonoro nascono anche le grandi partiture orchestrali, affreschi di un’epoca interiore e personalissima dove l’emozione si frammenta, disegna ghirigori, si espande cinematografica nel “canto” dell’invisibile.


QUOTE 
from Byron Au Yong

I met Angelo Sturiale at Darmstadt in 1994. Even then, I could hear in his music an adventurous voice that questioned the conventional role of silence.


About MUMONKAN 
by Christopher Yohmei Blasdel

I met Angelo in Tokyo a few years ago when he was participating on a composers' residency program in Japan. I assisted him in making contacts and answering his questions about Japanese music, which is my specialty.
In the course of his time in Japan, I was able to listen to his music and share ideas, dreams and realities about composing in a cross cultural setting. Many musicians and composers are enamored by non-Western music and endeavor to incorporate its elements into their own works, but few are actually successfully able to do so. True cross-cultural understanding of non-western music, I find, involves a certain kind of personality that is able to quietly observe and absorb the essentials of a culture both subjectively and objectively. It also requires a discipline and master of the particular metier.
Angelo, I believe, has both. Near the end of his residency in Japan, he composed a solo shakuhachi piece for me, entitled "Mumonkan, the Gateless Barrier." This piece consists of red and black symbols meticulously drawn on 48 fragments of paper. Each symbol indicates a pitch direction and length, but it is up to the performer to decide which pitch and exactly how to execute the timing.
The individual cards are shuffled and laid out in front of the performer; each performance is different, according to how the cards fall.
This piece fascinated me, since it allowed the performer much leeway in creating the piece while providing structure and guidance. It also impressed me in how he was able to take a very Japanese concept, like the Zen "mumonkan" concept (one interpretation of the gateless barrier is the quotidian workings of the rational mind which prevents us from seeing the larger, more spiritual picture) and successfully incorporate it into a piece for the shakuhachi, which also has much connection with the Zen tradition (another interpretation of a gateless barrier is the breath).


UNA CITAZIONE PER ANGELO (dal "Mahler" di Theodor Adorno) 
di Federico Incardona

Ad Angelo, nell'ombra del suono, nel gesto che lo evoca: "Egli nobilita quell'energia, libero come può essere solo chi non è eccessivamente intriso di cultura durante l'errabonda marcia musicale, afferra il vetro rotto che trova sulla strada maestra e lo rivolge verso il sole, in modo che tutti i colori dell'arcobaleno ne sprigionino".


SEMPRE E' STATO, E SEMPRE SARA' 
di Mario Garuti

Creare è un atto divino e come tale non ci appartiene. Creatività è l’umana visione che ri-compone nel nuovo ciò che già esiste, e non è poco. Anzi è il tutto, proiezione del divino.
Occorre cercare l’esistente in profondità, dove i prezioni metalli sono nascosti, imprigionanti nelle viscere della terra e, per farli risuonare, condurli in superficie.
Il lavoro di Angelo riporta alla luce i suoni più prezionsi, nascosti. Illuminati, ecco che prendono colore e forma, liberano energia, si animano. Antichi ma giovani. Si librano sospesi nell’aria, avvolgono, a volte accarezzano, altre abbagliano.
Partiture, schizzi, sistemi di notazione musicale, tutto quello che Angelo anima con movimento e colore, educa e seduce.
Educazione e/o seduzione, un labile crinale li divide. Un crinale fragile ed esposto ai minimi mutamenti del vento. Il vento non è quello che sento ma è quello che mi fa sentire dentro se mento.

On échappe pas à la machine! Quanti artisti mentono a se stessi?

Anche i meravigliosi seibutsu, rigorosamente in bianco e nero, sono coloratissimi! Si sentono suoni che non si odono. Tutta la sua produzione visiva è immaginario sonoro in atto… Nel silenzio. Angelo materializza, trasforma, plasma l’energia con la leggerezza e la precisione di unalucente e risonante lama.
Lama che veloce crea, fendendo l’aria con il suono del metallo.
Angelo de-sidera.


O luna, tigre lesa 
A noi urge stella

Adessosognodéiindecisi
Nelsegnoprofondoinciso
Giàdall’inizioun’inezia
Etipregodinutrireilsenso
Logoroconisensileggeri
Oltreilsuonodelmareche

Sempreanimal’animanuda
Tersaepersavagasulledune
Unicatracciaimmensaepiccola
Risorsazzurraranciofluttui
Inquietomaserenoepienodi
Amorearomiefragileguardi
Lascilecosecomesonocon
Estrodesìoastroecanto



BIGLIETTO PER ANGELO 
di Riccardo Insolia

Caro Angelo, quando ripenso alle prime occasione di incontro con te e con la tua ricerca estetica sono sempre pervaso da una sorta di sbigottimento e mi chiedo da dove abbiano avuto origine alcuni elementi distintivi che nel tuo modo di fare arte erano immediatamente leggibili: una così grande libertà, una così forte autonomia, una così ostinata e semplice fiducia di poter operare con il suono, con il corpo, con il segno...

In un ambiente che preferiva ignorarti continuavi a proporre, a cercare, a produrre, trovando altrove riferimenti e apprezzamenti. Coraggio e semplicità umana, fantasia e piacere del suono senza etichette, senza diplomazie, senza frustrazioni. C’era quasi invidia (ma più giusto sarebbe parlare di ammirazione) in me per quello che uno tanto più giovane riusciva a realizzare, mentre io ancora, quasi da solo o con pochissimi altri, mi affannavo a mettere insieme a Catania un ensemble in grado di lavorare sul Novecento storico e sulla musica nuova. Intanto grazie a te e a Emanuele Casale e a Federico Incardona altri varchi si aprivano per me, nuove riflessioni e nuove dimensioni.

Dalla tua ricerca è venuta una lezione di coraggio e di libertà personale e artistica e di questo, visto che non l’ho mai fatto prima, ti devo ringraziare.


έλαβε έλαβα 
by Krassimir Sterev

Eternal
Profound
Expressive in all its facets
Extraordinary aesthetical sense
So beautiful
So eine Kraft
Я помню чудное мгновение
και ποσες φουρτουνες περασες
Und Danke
Für SO WAHR, SO SEIEND


POESIA IN PROSA SPONTANEA 
di Giovanni Damiani

...Dietro le quinte ed al vertice del triangolo, con uno sguardo finalmente fiero, di una conquista... al comando dell'armata del suono, che punzecchia e seduce la musica sorda per farle urlare il sentimento di chi ama: Angelo.


DI-SEGNI 
di Damiano Meo

Due toni essenziali: un colore sottointeso. E scompigliante bisogno primordiale di rappresentare, percezioni. Che si accendono attraverso segni rapidi e rapiti, al giorno e alla notte, e lasciati bruciare - nell'instabilità potentemente armonica di una fiamma. Fino all'incenerimento, che diventa inchiostro. Su candida carta che viene sporcata, di esperienza, di fenomeno.
DiSegni, che infrangendosi teneramente con il mondo degli scarabocchi, sorvolano i labirinti di un ghirigoro psicologico, attraversando acrobaticamente la circonferenza Tao, annusando la geometria della foto, sbullonando il videogame che vorrebbe prendersi gioco del giocatore. Si potrebbe semplicemente definirli paesaggi interiori ed ulteriori, trasvolandoli. Ma è l'esteriore invece che - dal Giappone al Mexico, dal microchip alla scultura Azteca - s'inalvea nell'individuo, per divenire vissuto e per trasmutarsi in vivente.
E il disegno seibutsu - dal giapponese - ingloba proprio il significato di "qualsiasi forma di essere vivente": ogni organismo è un paesaggio ed ogni paesaggio è un organismo, ad un tratto. Così ogni DiSegno è tanto microcosmo analizzato allo stereomicroscopio quanto universo visto da uno shuttle, con polvere di stelle e buchi neri, particelle, cromosomi, spermatozoi e legami covalenti.
Angelo Sturiale è un ricercatore d'armonie, un artista pluridisciplinare, un rabdomante nell'atavica rotta del codice binario dell'inchiostro su carta. Traccia il suo tragitto come lumaca sull'asfalto e raccoglie magma psichico, metabilizzandolo in riformulazioni e interpretazioni.
L'artista - come un primitivo che incide la caverna, cercando un contatto, quasi ancestrale, con il mistero dell'esserci - estrapola il suo Yin e accende il suo Yanh, compone, scompone, decompone e ricompone. Parla senza parlare, suona senza suonare. Fa all'amore con le sue contraddizioni, riflessioni, proiezioni e provocazioni, cercando, nel dedalo dell'ipermediatizzazione e globalizzazione suoni di shakuachi e marranzano. Con la pressione di un sottile ed intenso tratto, sul vuoto, in un riempimento, sussurrato quando, tra advertisement e 3D, in un frullatore di tinte schiumanti, ci si è dimenticati - forse - di pesare l'essenza.
L'uomo non può prescindere dall'uomo, nel decodificarsi e decorarsi del silenzio di una meditazione, esponendosi. E riflettendosi in forme ampie e dinamiche. Immergendosi nel contenitore dal contenuto incontenibile dell'espressione artistica; che si lascia possedere dallo sguardo che l'accoglie, pungolando e sollecitando echi immaginifici e introspezioni temporali ed esistenziali.

Nel quando troverò il quando
lo bloccherò per te, senza se-
per dirti che sei quel silenzio
loquace, visto al microscopio.
E sei la fame d’ideale gravido
che gravita attorno armonie di
ipotesi che osano lo schianto 
terragno, per fisica gravità. 
Sei lo sperone di bambagia 
che stimola senza ferire. 
Sei la lingua ed il dialetto e 
sei l’isola ed il suo oltre. 
Sei punto e pausa, ma anche 
linea e curva d’intonazione. 
Sei la parolaccia che riflette 
sul malore che può causare e 
si censura e si transcodifica 
per esprimere il meglio di sé. 
Sei l’interiorità che si plasma 
in esteriore con intimo pudore. 
E tutto questo quando, Angelo, 
per me, adesso.



RITRATTO 
di Lelio Giannetto

Ho conosciuto Angelo Sturiale qualche anno addietro durante una serie di seminari realizzati presso l’allora Istituto di Storia della Musica della Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo. Durante questo primo incontro il compositore ci presentò una sua partitura per gesti che in quella circostanza fu rappresentata dalla danzatrice e coreografa Daniela Orlando.
La cosa mi colpì particolarmente poiché oltre al lato concettuale-teorico, Angelo ci mise di fronte al senso delle sue parole, direttamente. La percezione di qualcosa di diverso era fortemente penetrata nella mia anima: diverso, più che nuovo, dove nuovo significa assolutezza dentro i quadri di linee già tracciate.
Questo senso del possibile nella sua ordinaria diversa genialità mi restò talmente impresso che dopo qualche anno, iniziato la gravosa ‘carriera’ di musicista organizzatore di programmi divulgativi sui percorsi delle musiche contemporanee, chiesi più volte ad Angelo di sviluppare un progetto per l’esecuzione di alcune sue opere, in modo da coinvolgere, come esecutori, giovani ragazzi dei licei della mia città, una Palermo molto borghese (o piccolo borghese) e molto poco a contatto con i percorsi profondi delle esperienze musicali attuali e come tutte inflazionata da vicende più mediatiche che realmente elevate e distinte dalla pratica del commercio.
Certo, sono sicuro che anche Angelo, come chi scrive, ha la chiara consapevolezza di non poter cambiare le sorti di un percorso ormai segnato da questo turpe destino del commercio mediatico e mediaticizzato all’ennesima potenza (il potere del potere), ma, nonostante ciò, il riuscire a concepire e mettere in pratica esperienze dissimili da una omologazione globalizzata e globalizzante, sicuramente ci permette un’aura di sopravvivenza, individuale o micro-collettiva, all’interno di una sorta di ‘riserva naturale dello spirito dell’uomo’ legato a forme di antropologia ancora umana, voglio dire: a contatto con la reale realtà della carne come dello spirito, ma lontana, o, appunto, diversa dall’immagine televisiva o virtuale.
Dopo un laboratorio di una settimana così Angelo, riuscendo a sfuggire solo in parte alle mie pesanti ingerenze, realizzò “Germogli” una composizione performativa che, inserita nella quinta edizione della Rassegna Internazionale di Musica Contemporanea IL SUONO DEI SOLI - oggi miracolosamente giunta alla sua decima edizione – coinvolse numerosi studenti che rimasero affascinati dalla capacità di Angelo Sturiale di evidenziare per ognuno di essi le rispettive capacità o propensioni ad esprimere senso attraverso gesti sonori o di vibrazione energetica di chiaro segno sonoro.
La performance si svolse presso una struttura che concettualmente e praticamente rientra in quei percorsi urbani di assoluta normalità, come può essere considerato un locale d’intrattenimento o d’incontro - ciò che comunemente viene inteso some pub o qualcosa del genere – dove spesso l’attività delll’Associazione Curva Minore ha trovato conforto e accoglienza dai gestori - semplici ragazzi aperti a qualsiasi manifestazione non soltanto d’intrattenimento, ma anche consapevoli della necessità di rappresentare forme più profonde d’arte.
Il coinvolgimento attivo degli studenti, molti dei quali danzatori, musicisti o artisti, il notevole pubblico presente - giovane, ma non solo – e la genialità di Angelo Sturiale che introdusse con una solo-performance per movimenti e strumenti a percussione, decretarono il grande successo di una serata memorabile che ancora oggi a distanza di 5 anni resta indelebile nella memoria di chi quella sera l’aveva pienamente vissuta.
Ma oltre il dato artistico di Angelo, mi ‘spaventa’ la sua grande capacità umana di saper essere sempre e comunque se stesso, non cambiando atteggiamento o densità umorale durante le diverse funzioni che nel quotidiano esso svolge: la sua integrità, la sua delicata e fortissima essenza gli consentono di poterlo incontrare una sera durante la stagione sinfonica dell’allora EAOSS (Ente Atonomo Orchestra Sinfonica Siciliana) che ascolta la sua trascrizione per orchestra d’archi della Sonata op.1 di Alban Berg come se nulla fosse, e qualche giorno dopo sentirlo (e soprattutto vederlo) nell’esecuzione di “Conferenza sul Niente” del grande John Cage.
Insomma una personalità di un’autorevolezza e al contempo, di una ‘leggerezza’ che costituisce il fulcro della sua potente forza creativa ed esistenziale: in lui suono, gesto, parola, alito si ricongiungono nella stessa unità. Uno nessuno centomila (giusto per restare in territorio siculo). Ma di sicuro unico ed indispensabile Angelo, sicuramente custode di molte più verità di quelle che ci ha reso note fin’ora.


DANZA-MUSICA 
di Maddalena Gariboldi

[...] di Angelo Sturiale ho visto un solo lavoro, ma a proposito del quale voglio fare un accenno per la grande forza espressiva e l’intensa presenza corporea del suo brano musicale. Le sue partiture prescrivono azioni destinate anche ad essere guardate e non solo funzionali alla produzione di suoni; si potrebbe allora pensare si tratti di vere e proprie coreografie, ma non è del tutto così, in quanto l’insieme delle azioni ruota intorno ai suoni che all’esecutore sono comunque richiesti. Alla fine il risultato è difficilmente inquadrabile: ci si trova di fronte a un interprete la cui danza produce musica. La particolare natura di questo lavoro potrebbe suggerire interessanti rapporti tra la musica e la danza, sia dal punto di vista espressivo (ogni suono emergeva effettivamente come una naturale espressione emotiva dei movimenti, e viceversa), sia dal punto di vista di una più sistematica utilizzazione dell’interprete come “strumento” musicale [...].


FARE, SOLO FARE... 
di Emanuele Casale

Caro Angelo,

alcuni anni fa, durante uno dei tanti nostri pomeriggi di studi, ascolti e dibattiti ci chiedevamo ironicamente se Bach avesse mai scritto musica! Nel mio caso era una domanda volutamente provocatoria - poi utilizzata anche nel corso di qualche dibattito pubblico - che probabilmente serviva per compiere delle operazioni di 'azzeramento semantico', per perseguire il nichilismo musicale e provare poi a ridisegnare delle personali tappe sonore.
Nel tuo caso, invece, credo che quella domanda avesse un significato leggermente differente: è davvero necessario etichettare i linguaggi? E' realmente importante definire i percorsi creativi? Abbiamo realmente bisogno di dire COSA facciamo? Non sarebbe forse sufficiente soffermarci sul COME facciamo? Tu lasci semplicemente che le onde creative ti trasportino, si prendano gioco di te e tu di loro. Su COSA avvenga tutto ciò poco importa: qualche volta si guarda, qualche altra volta si sente o si percepisce... Ritorna ancora il ricordo dei nostri lunghi pomeriggi a dibattere su possibili forme d'arte ideale, quella che non chiede nulla e non vuole nulla... arte come essenza della curiosità... ma che persegue sempre il COME o, più specificamente, la pura "scienza del giusto movimento" (Agostino). Liberare l'arte dai suoi oggetti e lasciare che essa divenga pura esistenza, nudo gesto senza etichetta... forse è questo il tuo (in)consapevole desiderio.
Una volta a Palermo, durante un concerto pubblico, manifestasti puro dolore, non ti importava che vi fosse un riferimento sonoro, teatrale o coreografico, quello era solo 'il dolore' privato delle sue applicazioni o classificazioni specifiche... C'era tuttavia sempre la ricerca del COME... Pensa che meraviglia: dedicare tutta la propria vita solo al COME puro, astratto. Fare, solo fare, decostruire, farsi decostruire, non-avere-etichette, desiderare, solo desiderare, essere un continuo desiderare senza il COSA desiderare, essere 'abbandono', crescere con l'abbandono, rimanere in uno stabile, sensuale e produttivo limbo... fuggendo, giorno dopo giorno, dall'oggetto.


L'UOMO DAI SEGNI 
di Angelo Buscema

Il lavoro pittorico degli anni 70 mi ha portato a rivedere i segni di un tempo e ricalcolarli, sottoforma di chiave artimetica, su fogli ingialliti dalla storia. Il formato del foglio, che adoperavo per il mio lavoro (per la maggior parte grande), accoglieva pezzettini di carta che sottraevo alla storia e li sigillavo ritmicamente per sequenza musicale. Da un'altra parte del paese, nasceva un signore che era predestinato a studiare dei segni (potevano essere anche quei segni che io cervavo di mettere in sequenza ritmica per scopi di armonia e di equilibro), per poi metterli in musica, in un spartito che producesse ritmo e armonia.

Un pomeriggio dell'estate 2007 incontro Angelo Sturiale nel mio studio,"l'uomo dai segni", e scopriamo che abbiamo fatto dei percorsi analoghi. Vedo nei suoi segni, un tratto deciso e chiaro ma principalmente vedo armonia e ritmo, quel ritmo capace di diventare anche spartito musicale. I segni di Sturiale, rigorosamente sottili e neri, "narrano" oltre che armonizzare: è il rigore di uno che sa, di uno che vuole arrivare ad una armonia globale e personale, interna ed esterna, capace di colpire nel segno e nel cuore.

Ciao, caro Angelodaisegnisparsi, un caro e affettuoso abbraccio da Angelodaifoglidispersi!


X SEIBUTSU 
di Cinzia Scordia

Quell'aAngelo,
di lui ho un'immagine chiara dentro il buio:
2 mani
che accarezzano il silenzio
che si fa corpo nel divenire suono, presenza!

Del suo suono criticherei che
se nella propria presenza di suono fosse ancora più spreoccupato per
la contemporaneità che lo investe
sarebbe come una cascata
che contempla guizzi e potenti fragori
senza avere tempo di vedersi scorrere..

Della sua presenza commento:
la sua sensibilità è tale che
puoi vederlo o no
...eppure lo senti!